fotografa di Ivrea nella splendita terra Canavese dove ha potuto maturare la sua arte fotografica. L’ abbiamo intervistata perchè incuriositi dai suoi scatti.
Ciao Marianna e benvenuta nel progetto “fotografi Italiani ” del mondo delle reflex”. Allora dicci qualcosa di te:
Ho 32 anni (quasi) e vivo nella mia città natale, Ivrea, nel cuore di una splendida terra chiamata Canavese. Ho un temperamento molto artistico: mi sono diplomata al liceo d’arte e all’accademia teatrale e, ancor prima di intraprendere professionalmente la passione per la fotografia, ho affrontato quella per la recitazione e per la scrittura. Per certi versi sono un controsenso: ho una fervida immaginazione e sogno molto ad occhi aperti ma di contro sono anche molto riflessiva, direi troppo. Raramente agisco di impulso.
Come sei approdata nella fotografia?
Mi stregò quando ero appena una bambina. All’epoca mio padre era appassionato di fotografia (c’era ancora l’analogico) e un giorno mi immortalò con una doppia esposizione. Rimasi affascinata, e anche un po’ spaventata, nel vedere una mia gemella al mio fianco. Iniziai a chiedermi quali altre magie fossero possibili con la fotografia. Ma solo vent’anni dopo una reflex digitale divenne parte integrante del mio corpo (non potrei mai separarmi da lei) eppure… quella sensazione di avere tra le mani qualcosa di magico non è mai scomparsa. Credo sia per questo che cerco sempre di mettere un pizzico (a volte ben di più!) di sogno, di favola, di irrealtà nei miei scatti.
Nei primi tempi i miei soggetti erano esclusivamente fiori, insetti e tramonti. Ero convinta che non sarei mai riuscita a ritrarre qualcuno. Volevo che i miei soggetti non fossero capaci di ferirmi. Sono molto empatica e questo lato del mio carattere influisce su tutto. Ma siccome amo le sfide circa tre anni fa tentai la via del ritratto e del reportage. E’ finita che oggi non fotografo altro! Non sono afferratissima nella tecnica, preferisco puntare sulla composizione, lanciare un messaggio, raccontare me e il soggetto. Penso sia deformazione scolastica dato che al liceo avevo il massimo dei voti in storia dell’arte ma mi bastava prendere in mano un pennello per causare una catastrofe!
Attualmente vivo solo per il ritratto di posa… per il quale, soggetto permettendo, creo una scenografia che contribuisca a rendere lo scatto il frammento di una storia. Come un romanzo, un racconto scritto con la luce invece che con l’inchiostro.
…e per il reportage che considero una vera e propria caccia: amo scivolare fra le scene delle rievocazioni storiche per “rubare” espressioni e pensieri, cercando di (per dirla alla Robert Bresson) rendere visibile ciò che senza di me forse non potrebbe mai essere visto. Cerco sempre di non farmi notare dall’ignaro soggetto del mio interesse… se si mette in posa, si spegne la magia.
Quale tipologia di foto ti piace?
Domanda difficile questa. Mi piace la foto che racconta una storia. Può essere quella di un’anziana signora che si arrabatta con un borsellino quasi vuoto al mercato di Porta Palazzo, quella di due giovani innamorati pronti a sfidare le difficoltà di una vita insieme in un mondo precario, quella di un primitivo villaggio nel cuore di una foresta o ancora la storia fatta di sfide e ostacoli di chi lotta quoditidianamente per salvare la Terra. Mi piace la foto che “disobbedisca” ai canoni estetici. Quando il fotoritocco trasforma ciò che esiste in qualcosa che non esiste, si mette in atto una bugia e questa la ritengo una pessima espressione di sè.
Ho un debole per il bianco e nero/seppiato, il vintage e la chiave alta…
Cosa consiglieresti a chi comincia adesso?
Di non dimenticare che si può sempre migliorare. Di guardarsi intorno, di confrontarsi con altri fotografi e di lasciarsi suggestionare ma di trovare una propria strada senza emulare nessuno. Non siamo in competezione: la fotografia è espressione di se e ognuno di noi, fotografo o soggetto che sia, è un mondo unico. Se trasformiamo noi stessi in qualcun altro allora perdiamo la possibilità di stupire, di mostrare qualcosa che ancora non si è visto.
Di non pensare che basti l’attrezzatura per diventare un Fotografo. Uno scatto perfetto dal punto di vista tecnico ma vuoto di sentimento non potrà mai colpire l’animo dell’osservatore. E di vivere la fotografia come un’avventura. Quello che stringiamo tra le mani è un mezzo di trasporto per vivere infinite avventure. Ma il cuore è il suo motore e l’immaginazione, la voglia di scoprire è il carburante.
Cosa esprime il tuo soggetto fotografico o la tua fotografia?
Ci sono i ritratti commissionati che realizzo nel mio stile, ovvio, ma sui quali non posso sempre dare ampio spazio alla mia fantasia. Per lavoro posso anche prendere in considerazione i classici canoni estetici imposti dai mass media ma questa è ancora una sfida che non posso vincere.
Parallelamente ci sono i ritratti che narrano una storia, reale o empirica che sia, e per i quali creo (o cerco) una scenografia adatta. Ci sono io, il narratore, e il soggetto, il mio protagonista. La vivo come una sorta di seduta di psicoanalisi, per certi versi. I miei progetti fotografici sono un romanzo da guardare.
Ed è il mio modo di affrontare anche il reportage, per questo è un fotogiornalismo fuori dagli schemi, con un taglio molto personale. Non è mai la classica foto con un punto di vista asettico, senza una presa di posizione, al contrario: è la realtà vista da me. Nei miei reportage non c’è mai tutto quel che tutti vedono …ma c’è molto di quel che raramente si vede.
Curiosità. I miei scatti hanno sempre il passepartout nero, scelta non sempre condivisa. In realtà nessuno mi ha mai chiesto il perchè di questa cornice, pensando erroneamente che si tratti di una scelta artistica. Lo dico ora. E’ un messaggio. Prima di tutto un passepartout è una chiave che apre più serrature e questo indica che per me la fotografia è una passaporta per più mondi. Ma Passepartout è anche il co-protagonista, ex acrobata circense, del romanzo di Verne “Il giro del mondo in 80 giorni” … questo perché per me essere fotografo significa essere un saltimbanco tra mille avventure alla scoperta del mondo.
Cosa significa per te fare fotografia?
I miei genitori mi regalarono la mia unica e attuale reflex nel giorno del mio 27° compleanno. Terminai un corso di base e andai a lavorare gratis (la vecchia cara gavetta!) in uno studio fotografico. Dal quale me ne andai il giorno in cui la mia rabbia raggiunse il punto di non ritorno. Anche qui, come nel campo della recitazione, mi sono scontrata con la moda di preferire la perfezione fisica a tutto il resto. Un bel corpo è meglio di un buon contenuto. No, per me non è mai stato così. Quell’esperienza mi fece capire come “non” volevo fotografare. Fu proprio questo a spingermi ad affrontare finalmente la sfida del ritratto: volevo dire la mia in merito. La bellezza del cuore è di gran lunga preferibile a quella del corpo e, anzi, è proprio quando trovi il bello in ciò che non ti aspetti, dopo esserti inoltrato al di là dell’apparenza, che puoi dire di aver trovato qualcosa capace di colpirti dentro, oltre lo sguardo. Infatti i miei soggetti ideali non sono abituati a posare, lo fanno in modo naturale senza schemi preimposti.
Quindi per me fare fotografia significa esprimere me stessa liberamente, uscire dagli schemi imposti dalla società e dai mass media. La vivo come una scoperta ma anche come un’opprtunità per far scaturire una riflessione e un’emozione nell’osservatore. Significa anche lottare affrontando tematiche importanti come la salvaguardia del pianeta e la discriminazione fisica, argomenti che hanno segnato molto la mia adolescenza contribuendo a rendermi la persona che sono oggi. E per fare questo devo fotografare, prima che con la reflex, con il cuore.
Credi che la fotografia possa diventare un lavoro?
Lo spero anche se è veramente molto difficile. Ivrea è una città che vive di ricordi e qui non si è molto propensi a ad accogliere gli esordienti. Mi sono sentita consigliare spesso di trasferirmi, almeno a Torino o Milano, ma non ci penso nemmeno. Non ora, almeno. Questa è la mia terra e, seppur tardi, ho imparato a scoprirla e amarla. Ed è qui che vorrei lasciare un segno prima di partire per scoprire il resto del mondo.
Ho un vissuto che mi ha portata ad avere una scarsa autostima quindi a lungo non ho osato pensare di poter trasformare questa passione in un lavoro. Ma ogni volta che intraprendevo un altro lavoro (attualmente sono disoccupata) mi ritrovavo a sospirare su una ipotetica vita da fotografo professionista. Così da qualche mese ho iniziato a impegnarmi seriamente per realizzare questo sogno. Per ora il reportage è ancora un “lavorar per la gloria” seppur io possa vantare di essere a volte chiamata come fotografo ufficiale per un dato evento… dal 2014 sono tra gli addetti ufficiali a immortalare lo Storico Carnevale di Ivrea e ciò mi ha permesso di farmi conoscere e di pubblicare alcuni scatti in un libro sull’argomento. Al momento sto lavorando ad un secondo progetto editoriale…
Invece nei servizi di posa privati sono arrivati i primi piccolissimi guadagni. Non mi stanco mai di allenarmi e in questo mi aiutano due care amiche: sono le mie “Muse” e con loro amo molto sperimentare. Purtroppo non ho la possibilità di aprire un’attività e non dispongo di uno spazio chiuso per i ritratti… il mio studio è la Natura. Ma non mi dispiace perché preferisco la luce naturale a quella artificiale e sono felice di vivere oggi questa passione là dove ho mosso i primi passi… sotto il cielo, in un bosco, tra i fiori.
So che è una strada tutta in salita ma va bene, vorrà dire che forse un giorno arriverò in alto.
Il tuo fotografo preferito?
Sono tanti i fotografi che stimo. Non ce n’è uno che spicchi sugli altri. Posso dire che la mia maggior fonte d’ispirazione sia in realtà un regista: Tim Burton. Lui più di chiunque altro riesce a stuzzicare e soddisfare la mia immaginazione.
La tua attrezzatura?
La mia inseparabile compagna di avventura è una Nikon D5000. Come obiettivi uso un 18-55mm e un 55-200mm stabilizzati, sempre Nikon.
Grazie Marianna per la cortese collaborazione
Giovanni Morici